
Sono tante le
problematiche di chi arriva a tale abbandono, tante le componenti che degradano
una Persona senza dimora portandolo a diventare un senza speranza. Una di
queste, chissà tra le principali, è quella di dover passare le giornate privo
di alcun stimolo se no quello di bere; senza niente da fare per tutto il giorno
se no di aspettare la notte, e la notte aspettare il giorno, trascurando il
proprio corpo senza neanche accorgersi del degrado sempre più crescente.
La terapia per
loro non è semplice, come non è facile la forma di attuare più adeguata per
aiutarli, evitando che si ripetano tragedie; dobbiamo domandarci prima di
tutto, se quello che vogliamo è volerli disintossicare e giustamente farli
entrare nel circuito di riabilitazione secondo i nostri schemi, che il più
delle volte non portano a un risultato definitivo (dato che la maggior parte di
loro firma, e si dimette volontariamente dalla struttura, come nel caso di
Robertino), oppure vogliamo evitare che uomini come lui, vivano e muoiano così.
Io sono per quest’ultima opzione e quindi lancio un appello alle
amministrazioni, a coloro che sono preposti a tracciare nuove strategie per le
Persone senza fissa dimora, a noi Organizzazioni di Volontariato per studiare e
attivare nuove dinamiche di supporto. Attuare con servizi e strutture adatte,
che abbiano una maggior apertura di spazi, con regole e parametri che siano a
misura della loro dimensione nella quale vige principalmente la paura di essere
privato della propria libertà. Sta a noi permettergli di rivedere
principalmente questa visione distorta della vita, farli riscoprire la voglia
di vivere, di sperare e sognare, come ognuno di noi.
Ginetto Mattana
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